In occasione dell’apertura dei preorder di ScreamVI che arriverà dal 13 luglio in Steelbook 4K Ultra HD + Blu-ray, DVD e Blu-ray, ripercorriamo insieme la nascita del mito di Ghostface, cominciando dal principio.

Il primo Scream, disponibile in  Steelbook 4K Ultra-HD + Blu-ray, è stato uno spartiacque per quanto riguarda il cinema horror slasher mainstream. Infatti, questa pellicola ha rinfrescato il genere che ormai era diventato vittima di certe dinamiche “pigre”, e, allo stesso tempo, lo ha teorizzato.

Uscito nel 1996 grazie al fiuto del produttore Bob Weinstein, alla regia del maestro della suspence Wes Craven (il creatore di Freddy Krueger) e alla penna del visionario sceneggiatore Kevin Williamson (autore all’epoca anche di Dawson’s Creek), il film rifletteva in particolare sul sottogenere horror slasher attraverso personaggi che citavano film d’orrore precedenti come Venerdì 13, Nightmare e Halloween, già entrati nell’immaginario collettivo e nella “cultura pop”.

Era come se l’horror prendesse atto della sua storia, del suo linguaggio e di certi cliché tipici del cinema di genere (come normale che sia, essendo quest’ultimo la tipologia di prodotto culturale più soggetta alle dinamiche industriali). Scream, in questo caso, prendeva atto della cristallizzazione di certi luoghi comuni narrativi, li esplicitava, li dissacrava e cercava di restituire una freschezza a un genere ormai stantio (il personaggio di Randy spiega le regole dei film horror e ci illustra i dogmi per sopravvivere in una pellicola di paura). Come dire, fotografava le regole dei lungometraggi di paura e poi le infrangeva per stupire lo spettatore più smaliziato degli anni 90.

Oltre a questo, Craven eliminava ogni possibile caratterizzazione soprannaturale (al contrario dei vari Jason Voorhees, Freddy Krueger e Michael Myers), sia perché il killer non aveva alcun potere ultraterreno, sia perché l’assassino veniva rappresentato in tutta la sua fallibilità umana. Perché se, ad esempio, Michael Myers (che incarna appunto l’essenza del male) cammina e non si scompone mai, l’assassino di Scream corre e inciampa, cade, sbaglia e, a volte, risulta persino goffo. Se Myers, Krueger, Leatherface e Voorhees restano uguali nonostante i cambiamenti del mondo, l’assassino di Scream è completamente immerso nel tempo in cui vive e, infatti, si serve dei dispositivi tecnologici del suo tempo (in questo caso, il telefono). Era come se gli autori del film avessero compreso che, nel mercato dell’immaginario degli anni 90, c’era lo spazio per una nuova icona slasher, diversa, figlia della cinefilia horror e della contemporaneità. Per questo, creavano  Ghostface. Anche in questo caso, però, c’era una particolarità, perché se nella maggior parte delle saghe slasher il personaggio immortale (o quasi) era inscindibile dal proprio abbigliamento (la maschera di pelle umana di Thomas Hewitt, quella bianca glaciale di Michael Myers, quella da Hockey di Jason Voorhees e il maglione rosso e verde di Freddy Krueger), e dall’arma da taglio scelta (la motosega, il coltello da cucina, il machete e il guanto artigliato), in questo caso avveniva una scissione tra gli elementi di rappresentazione di Ghostface (la maschera spettrale che ricorda l’Urlo di Munch, il costume e il pugnale) e i personaggi diversi che ogni volta si sono trovati a indossarla.

Per approfondire meglio il concetto, dobbiamo inevitabilmente fare uno spoiler: Ghostface non è Bill, quest’ultimo è solo uno dei tanti che si sono serviti  del costume di Ghostface per uccidere qualcuno.
E questa scissione tra maschera e assassino è talmente esplicitata che, in diversi capitoli della saga, i killer erano più di uno. Come dire, Ghostface è solo una maschera innocua, non ha vita propria, non incarna il male (al contrario di quello che ci dice per esempio il franchise Halloween), è potenzialmente a disposizione di tutti e chiunque potrebbe indossarla per scopi ludici (per esempio a Carnevale) o per finalità omicide. Tra l’altro, a proposito dell’abbigliamento, se i serial killer più rappresentativi dello slasher indossavano vestiti tipici della quotidianità (maglioni colorati, tute da meccanico, grembiuli da cucina ecc.) che sono diventati poi simboli di personaggi iconici del cinema horror, l’assassino che vestiva i panni di Ghostface, indossava un costume di Halloween, quindi un abbigliamento che esula dalla quotidianità, già concepito per essere una rappresentazione pop della paura (su cui, appunto, Scream riflette).
In questo senso, il travestimento del killer, assume un senso giustificato anche a livello narrativo perché, se da un lato, l’assassino è appassionato di horror e, per questo si abbiglia con un costume spettrale, dall’altro ha bisogno di nascondere il suo volto per non essere riconosciuto. Inoltre, Il fatto che l’assassino fosse mortale, permetteva al film di introdurre anche una componente giallistica: essendo il killer uno dei protagonisti del film, bisognava anche individuare chi di loro fosse il colpevole.
Wes Craven, da questo punto di vista, ibridava il linguaggio horror incarnato dalla tensione che sapeva creare e dalla messa in scena della violenza con quello del giallo. Questo permetteva al film di intrattenere lo spettatore sia sul versante della paura che su quello dell’enigma e del mistero. Durante la fruizione si alternavano situazioni di tensione, jumpscare e momenti ludici, nel tentativo di capire chi si celasse dietro alla maschera. Queste componenti permettevano al film di parlare a un pubblico ampio anche di adolescenti, non per forza fan dell’horror, ma che era alla ricerca di brividi e, allo stesso tempo, comunicava con tutti i fan del genere perché i vari quiz sadici che sottoponeva per telefono l’assassino alle sue vittime funzionavano come un nostalgico gioco per chi aveva amato i film dell’orrore precedenti. A proposito della scena iniziale con l’assassinio del personaggio interpretato da Drew Barrymore, possiamo affermare che l’uccisione di un personaggio all’inizio del film è diventata poi una ricorrenza della saga (anche se non proprio in tutti) ma all’epoca dell’uscita del primo capitolo, vedere, dopo diversi minuti, il personaggio, che erroneamente inquadravamo come protagonista, morire squartato, fu una sorpresa.

Con Scream, disponibile in Steelbook 4K Ultra HD + Blu-ray, Wes Craven restituiva dignità culturale a un genere e allo stesso tempo ci lasciava una grande lezione di comunicazione. Perché la componente di riflessione teorica, appunto, c’era ma non prevaricava mai l’intrattenimento. Perché se c’è una cosa che Craven sapeva e che ha sempre dimostrato è che la riflessione cinefila sulle dinamiche della paura non deve mai sopraffare la capacità di produrla.